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Fabrizio Fabbroniarte - Perugia

Artista eclettico, critico d’arte e art director di eventi d’arte. Accademico di merito ABAPG

MOSTRA PERSONALE "OLTRE LA CERAMICA" - MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA - 20 luglio/16 settembre

Pubblicato su 29 Ottobre 2018 da fabbroniarte

MOSTRA PERSONALE "OLTRE LA CERAMICA" - MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA - 20 luglio/16 settembre
MOSTRA PERSONALE "OLTRE LA CERAMICA" - MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA - 20 luglio/16 settembreMOSTRA PERSONALE "OLTRE LA CERAMICA" - MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA - 20 luglio/16 settembreMOSTRA PERSONALE "OLTRE LA CERAMICA" - MUSEO REGIONALE DELLA CERAMICA DI DERUTA - 20 luglio/16 settembre
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Oltre la ceramica.

 

Oltre la ceramica c'è il forno dove è stata cotta. Ci sono le mani che l'hanno plasmata, modellata, dipinta. C'è il tempo che é stato necessario per conferire a quel tipo di forma un valore estetico e simbolico, c'è il silenzio rituale in cui l'artista dialoga con sé stesso, alla ricerca  del significato concettuale da attribuire all'opera. Per Fabrizio Fabbroni il progetto "Oltre la ceramica" è un modo per superare i limiti della materia, nel rispetto della tradizione del suo territorio di provenienza; è un espediente di sentimento per un procedere artistico in continua evoluzione, capace di suscitare in chi guarda un subitaneo coinvolgimento, è metaforica ripresa di un movimento affine a quello musicale, che rivive di nuovo spirito dopo una impercettibile pausa. L’arte si rivela tra le indomite curve e le sottili sospensioni coloristiche, che assecondano una volontà di continuo movimento; si manifesta nei simboli utilizzati, forieri di antiche e significative memorie; palesa la sua natura ciclica nelle forme elaborate dall’artista, che si impegna a conferire loro una vita nuova. L’agire assume caratteristiche rituali, sottolinea e sancisce fasi ritmiche di rinascita e cambiamento, invita la comunità alla comprensione del processo artistico per la riappropriazione di contenuti che le appartengono, procede attraverso simbologie iconografiche capaci di suscitare una profonda e funzionale partecipazione emotiva. In “Oltre la ceramica” Fabrizio Fabbroni rivela la sua naturale funzione di custode del sapere, di interprete dei racconti collettivi e della loro funzionale interpretazione, di artista impegnato nella diffusione della cultura intimamente legata alla Natura e alle connessioni che si instaurano con il Tempo e con la Storia. Indugia, Fabbroni, sulla rielaborazione del simbolo, creando i presupposti per un nuovo linguaggio visivo, tattile, sonoro. Seguire con lo sguardo le creazioni realizzate per questa esposizione permette di ricondurre la memoria a sensazioni primarie, di ricordare come una materia informe sia capace di generare, di rivivere l’improvvisa e continua rinascita della vita senza che sia necessario aspettare primavera. Oltre la realtà albergano le infinite sfaccettature dell’Ignoto, e l’Arte pare essere l’unico ponte possibile da attraversare per poterne esplorare i territori: Fabrizio Fabbroni ne è consapevole, e ha costruito per noi una solida rete stilistica su cui poggiare i passi incerti. Correre il rischio di attraversarla sembra essere l’unico augurio che egli possa farci, e noi non possiamo che accettare, consci di camminare sul filo della bellezza.

Francesca Bogliolo, Albenga - 5/7/2018

Fabrizio Fabbroni al Museo Regionale della Ceramica di Deruta

È un materiale che abbraccia vastità geografiche e temporali: la ceramica, o ancor più la terracotta, elemento primordiale, retaggio di civiltà arcaiche, primo passo verso la civilizzazione. Il lavoro di Fabrizio Fabbroni s’incentra su tale materiale cercandone i collegamenti interiori con le più distanti culture, uno sguardo verso il passato consapevole di quanto ciò sia importante per il presente.

Appare altresì rilevante la mostra allestita presso il Museo Regionale della Ceramica di Deruta, storica pinacoteca fondata nel 1898, luogo di memoria dove proprio passato e presente s’incontrano: dalle maioliche del XV secolo ai recenti esempi di artisti internazionali come Picasso, Schifano, Dorazio, migliaia sono le opere, centinaia i nomi, intere società rappresentate e un territorio unanimemente riconosciuto come capitale della ceramica. Non l’unico in Umbria, è bene ricordare, a riprova del fatto che l’intera regione può ben vantare il primato di terra della terra, ma Deruta, indubbiamente, ne è fiore all’occhiello e conosciuta, fin dal Rinascimento, anche grazie alla vicinanza del Tevere che la metteva in diretto collegamento con Roma. Straordinarie le Fornaci di San Salvatore, recentemente riscoperte e restaurate, che proprio al museo si collegano grazie a un tunnel sotterraneo. Ed è questa la magia della cittadina umbra: basta scavare qualche metro per affondare di qualche secolo nella storia. Stratificazioni interminabili di frammenti, quando gli artigiani buttavano nelle scarpate i pezzi rotti o malriusciti.

Declivi che lentamente si riempivano divenendo terrapieni. Deruta poggia sulla ceramica, e così nel tempo si è trasformata, cresciuta e maturata, acquisendo esperienza artistica e vivendo il procedere della storia.

Oggi Fabbroni ripercorre queste vicende temporali, ma spostando l’attenzione verso territorialità lontane e culture opposte alla nostra. Non parla direttamente dell’Umbria, ne dei suoi centri. Piuttosto s’interroga su ciò che accomuna i paesi mediterranei con i villaggi tribali del Sudamerica, ma potrebbe anche trattarsi di comunità neozelandesi, australiane, africane, indiane, asiatiche. Non esiste territorio in tutto il mondo in cui il genere umano non sia ricorso alla ceramica. E d’altra parte basta solo un po’ di terra, un fuoco, unire i quattro elementi in una danza alchemica per passare dall’informità all’oggetto.

Basta poco e d’un tratto non siamo più animali, ma esseri intelligenti.

Il messaggio di Fabbroni varca i confini geografici, utilizzando la ceramica come supporto su cui tracciare la propria idea artistica: i piatti si colorano di tonalità astrali, a ricordare le costellazioni che gli antenati osservavano per spiegare il nostro esistere, mentre le corde definiscono linee geometriche dal disegno primordiale. Non è facile usare la ceramica senza partire dalla terra grezza. Non è facile trovare la coerenza necessaria a raccontare cosa sia questo materiale. Ma nel lavoro di Fabbroni si riesce a comprendere un passaggio che spesso sfugge all’analisi critica, quella consapevolezza cioè di un elemento universale, quasi volendo scardinare l’idea che la globalizzazione sia un prodotto della modernità, ricordandoci di quando, esseri dal pensiero simbolico, vivevamo tutti con i piedi ben piantati sulla terra: dall’Asia all’America, dall’Artide all’Antartide, quando ancora questi nomi erano lontani a venire, uomini di etnie diverse, inconsapevoli gli uni degli altri, prendevano in mano della terra per costruire la civiltà.

Non solo le costellazioni, ma anche i colori e le linee essenziali dei disegni che le tribù tracciano ancora oggi sui corpi dei propri appartenenti, segni geometrici tratti dall’osservazione della natura: un fiume, le montagne, gli alberi, il fulmine, tutto diviene segno e linea, il volo di un uccello si traduce in spirale, il sole diventa un disco raggiato. È il pensiero simbolico che le popolazioni tribali non hanno mai abbandonato, e che noi occidentali abbiamo ritrovato solo di recente, superando la rappresentazione e immergendosi nel mistero delle forme astratte.

Forse è questo il primato di Fabbroni: rimarcare, con la sua opera, il nostro essere consapevoli. Siamo dunque consapevoli di avere su di noi il vantaggio della storia, la propensione al giudizio, il beneficio dei musei, e questo ci rende ricchi, disposti al discernimento, ma anche esposti alla responsabilità.

Sembra strano che un piatto possa raccontare tutto ciò, e infatti non potrà mai farlo, se non sarà un artista a metterci le mani. Resterà solo un piatto e se pure dovessero trovarsi delle decorazioni su di esso resterà comunque un piatto, più bello di altri magari, ma niente di più. Per vedere oltre lo sguardo bisogna disporsi all’ascolto della vita, quindi Fabbroni disegna le sue ceramiche come fosse uno sciamano, interroga gli spiriti della Terra e si affida all’arte simbolica. Non solo pittura, e non solo forgiatura, ma anche musica, richiamata come riferimento antico, mezzo per dialogare col divino:

imitare il richiamo degli uccelli, il ruggito del felino, il soffio del vento o il rumore del tuono. Ancora le corde si tendono sulle sue opere, ma stavolta non sono lino grezzo, bensì metalliche, capaci di emettere suoni e intonare una melodia. Così l’opera si completa: pittura, scultura e musica condensate in architetture simboliche dove il pensiero scandisce il tracciato della nostra civiltà.

Andrea Baffoni, Perugia, luglio 2018

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