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Fabrizio Fabbroniarte - Perugia

Artista eclettico, critico d’arte e art director di eventi d’arte. Accademico di merito ABAPG

mostra "retaggi"-Museo della canapa-Sant'Anatolia di Narco(PG)

Pubblicato su 2 Agosto 2011 da fabbroniarte in Notizie

intervento della curatrice: MARINA BONVALSASSINA

 

RETAGGI

 

Una rete metallica imbriglia e circoscrive un intero universo e, di fatto, indirizza lo sguardo di chi osserva in un cono prospettico quasi obbligato, al cui interno sono sistemati, come fossero concetti materializzatisi in oggetti, alcuni elementi fondamentali e pertinentissimi se si tiene conto del contesto, insoliti e curiosi se se ne astrae: ora sono chicchi di canapa, ora un filo, ora un pezzo di corda, che sbalzano dallo smalto omogeneo del supporto ceramico, esaltati dalla pennellata verdognola e densa del decoro, a volte impreziosita dai riverberi aurei del lustro.

Un intreccio di linee, un sistema di chiusura a maglie larghe racchiude così un microcosmo. E’ questa l’espressione scelta da Fabrizio Fabbroni per esordire in pubblico come artista, collocandosi all’interno di un contenitore – il Museo della Canapa – che gli è caro e familiare.

Architetto e scenografo, Fabbroni ha infatti collaborato al progetto e all'allestimento di questo museo dedicato alla cosiddetta “cultura materiale”, rimanendo affascinato, quasi prigioniero, di quell’antico mondo rurale, ormai scomparso, nel quale affondano le radici della gente umbra. Un’esperienza simile, del resto, come museaografo l’ha realizzata anche a Piegaro, curando il progetto del Museo Paleontologico di Pietrafitta, un work in progress che intorno ai fossili va costruendo l’identità culturale di un territorio, da tramandare ai posteri assieme alle memorie del passato più remoto della civiltà umana nel nostro territorio.

E’ proprio da qui, da questo itinerario della memoria che scaturiscono le opere ceramiche di un apparente outsider, ovvero di un artista che pur non vantando una carriera tradizionale come pittore o scultore in senso stretto, può comunque rivendicare un impegno per l’arte che dura letteralmente “da una vita” e che va assommando alla ricerca e alla sperimentazione di materiali e tecniche, la pratica di progettista e di designer professionista. Figlio di un restauratore, pittore, scultore di buon livello come Fernando Fabbroni, Fabrizio ha trascorso molta parte della sua vita nell’Accademia di Belle Arti di Perugia - dove tuttora insegna e della quale è stato anche Direttore in anni recenti - confrontandosi quotidianamente con colleghi e studenti in un mondo fervido e stimolante, irrequieto, perennemente alla ricerca di nuovi traguardi e di contaminazioni tra linguaggi che spesso anticipano le evoluzioni stesse della storia e del pensiero.

Guardando questi lavori e penetrando attraverso essi il senso stesso che l’artista ha voluto dare alla sua mostra, è ineludibile estendere il discorso a una riflessione su Fabbroni museografo. Anzi possiamo dire che “creatore” e “creatura” risultano cosi complementari da sospettare, legittimamente, che le opere ceramiche qui presentate concludano compiutamente un percorso espositivo attentamente meditato, concretizzando in qualche modo l’auspicio che molti anni fa faceva Bruno Toscano in un bel saggio dal titolo Arti “meccaniche”, musei “liberali”(in Antiche maioliche di Deruta, catalogo della mostra, Spoleto 26 giugno – 13 luglio 1980). “[…] Non si pretende, naturalmente, che il museo “esponga” ogni tipo di conoscenza riconducibile agli oggetti presenti. Ma non è dubbio che quando la raccolta di cui disponiamo non possiede sufficientemente caratteri di organicità, continuità, rappresentatività, l’esigenza di testimoniare adeguatamente il rapporto tra ciò che è rimasto e ciò “che non è più” (o che non è più qui) deve trovare una risposta nell’ambito del museo […]”. E, ancora, “[…] In un museo così rinnovato, nelle sue componenti stabili e nelle attività che esse saranno capaci di realizzare, l’arte potrà essere studiata anche come strumento interpretativo dell’area culturale in cui si vive: a più forte ragione l’arte “minore”, la cui storia è anche, in modo tutto particolare, storia di forme d’uso del territorio e delle sue risorse […]”.

E’ infatti nell’insieme che vanno viste e interpretate le opere di Fabbroni, in un contesto largo che comprende ed esalta in primis il percorso espositivo sulla storia della produzione di canapa a Sant’Anatolia di Narco, ma che si estende, attraverso l’uso della ceramica, alla secolare tradizione di artigianato artistico dell’intera Umbria, chiarendoci così come i fili metallici delle reti “da pollaio”, o quelli realizzati con la canapa intrecciata che serrano i piatti, alludano a un apparato radicale profondo, ancestrale, che costituisce appunto un “retaggio” di civiltà che affiora alla memoria e muove la mano dell’artista.

Marina Bon Valsassina

 

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